ANORESSIA E DISTURBI ALIMENTARI, LA STORIA DI DONATELLA SCIMIA IMPEGNATA CON “OLTRE IL SINTOMO”

L’AQUILA – Rossella aveva fame di vita ma la malattia non l’ha risparmiata. L’anoressia ti fa questo, prima ti illude e poi ti divora. Ricorda così una delle tante giovani vittime dei disturbi psichiatrici del comportamento alimentare la dottoressa Donatella Scimia, fondatrice e titolare di Oltre il sintomo, un blog e una pagina Facebook di supporto psicologico e ascolto attivo delle persone affette da disturbi del comportamento alimentare e di tutte quelle direttamente, o indirettamente, coinvolte, a partire dai familiari.
Aquilana, 42 anni, tre lauree, in Scienze dell’Educazione come educatrice alla salute, in Infermieristica e in Psicologia Clinica e di Comunità con specialistica quasi al termine, diversi master in ambito sanitario e psicologico, come, tra gli altri, quello sulla Clinica delle dipendenze e dei disturbi alimentari presso l’Aba di Roma, l’associazione per lo studio di anoressia, bulimia e obesità. Ma non è tutto.
Donatella ha sofferto in prima persona di disturbi del comportamento alimentare quando, all’età di 12 anni, praticamente una bambina, si è ammalata dapprima di anoressia e poi di bulimia, arrivando a pesare poco più che 30 chili. Una patologia curata dopo lunghi anni di riabilitazione nutrizionale in cliniche specializzate e grazie al supporto della famiglia che, in casi come questi, assume un ruolo fondamentale nella gestione del disturbo.
“Oltre il sintomo nasce dall’idea di offrire supporto e aiuto a persone che soffrono di disturbi del comportamento alimentare, dalla volontà profonda di dare un senso al mio percorso, dalla voglia di mettere a disposizione la mia esperienza verso un problema che è ancora oggi invisibile, nonostante i numeri allarmanti”, racconta Donatella a Virtù Quotidiane.
I disturbi del comportamento alimentare sono di natura psichiatrica, annoverati nel manuale diagnostico e statistico delle patologie mentali. Anoressia, bulimia, bing eating o alimentazione incontrollata, sono i disturbi più frequenti, ce ne sono anche altri, meno frequenti ma non meno importanti, come l’ortoressia e la vigoressia, ovvero l’ossessione compulsiva rispettivamente per cibo e corpo, il vomiting o sindrome da vomito e lo spitting, quando si mastica e poi si espelle il cibo.
In ordine di mortalità, le vittime dei disturbi alimentari sono al secondo posto dopo quelle degli incidenti stradali. Solo in Italia muoiono tra le 8 e le 10 persone al giorno, per un totale di tre milioni e 500 mila casi diagnosticati (dati Istat). La fascia di età che si ammala di più è quella adolescenziale e preadolescenziale, con un picco che va dai 14 ai 18 anni. Negli ultimi anni tuttavia sono aumentati i disturbi in età più tardiva, compresa tra i 25 e i 30 anni, ma anche in fascia prematura, con casi di addirittura 8 anni.
Una “strage silenziosa” la definisce Donatella, in grande aumento in questo periodo di emergenza Covid, perché “sono venute meno le possibilità di cura all’interno delle strutture pubbliche, dove – spiega – molti percorsi sono stati interrotti o attivati in modalità a distanza via web. Nel 2020 le morti per dca sono aumentate del 30 per cento”.
Sulla pagina Oltre il sintomo è pubblicata la guida per riconoscere i diversi disturbi del dottor Leonardo Mendolicchio, l’ex direttore sanitario di Villa Miralago, una delle più importanti strutture terapeutiche per la cura dei disturbi del comportamento alimentare d’Italia.
“Si tratta di disturbi psicopatologici che divorano l’anima, multifattoriali perché nel determinarli concorrono tutta una serie di fattori – spiega la dottoressa – . Si parla di vulnerabilità genetica, fattori ambientali e relazionali, esperienze traumatiche, anche relative all’abuso, sessuale e psicologico, secondo una percentuale molto alta riscontrata in anni di ricerca dall’associazione Aba”.
“Visto l’aspetto scatenante multifattoriale, il trattamento di queste patologie deve essere multidisciplinare – osserva la Scimia – . Necessario l’intervento di medici internisti, psichiatri e psicoterapeuti, dietisti. Non basta un solo punto di vista, anche perché ogni storia è diversa dall’altra”.
Uno dei problemi del contrasto a questo tipo di disturbi è il difficile accesso alle cure che, in molti casi, richiedono invece azioni tempestive.
La Scimia ricorda la petizione nazionale di Stefano Tavilla, presidente dell’associazione genovese “Mi nutro di vita” e padre “orfano” di Giulia, una ragazza morta per arresto cardiocircolatorio prima che potesse entrare nella clinica. La petizione, ancora sottoscrivibile, promuove l’inserimento dei disturbi del comportamento alimentare all’interno dei Lea, i livelli essenziali di assistenza gratuiti, come malattia a sé stante.
“Inseriti tra quelli psichiatrici, i disturbi dell’alimentazione non vengono considerati allo stesso modo, passando in secondo piano, nonostante i numeri e l’alta mortalità certificati. Il problema – rileva – è che non tutti hanno la fortuna di poter accedere alle cure nelle poche strutture residenziali dedicate. Il codice lilla dei Pronto soccorso, oltre a riconoscere il disturbo, non implica sempre la presa in carico con un percorso dedicato”.
Si tratta di una piaga sociale invisibile con pochissime strutture specializzate e per la maggior parte private, con liste di attesa lunghissime. In Abruzzo, oltre alle Asl e diverse associazioni, esiste solo una struttura privata di riabilitazione nutrizionale, a Chieti.
“Il paradosso è che gli squilibri provocati dalla malattia, elettrolitici e metabolici, provocano scompensi gravi in un corpo già martorizzato che può cedere da un momento all’altro. Per questo la disponibilità alle cure dovrebbe essere tempestiva e urgente”.
“Siamo ancora molto lontani da un livello adeguato di risposta al problema che richiede, oltre alle strutture, l’ausilio di specialisti del settore. Inoltre, l’ospedalizzazione si rende necessaria con un indice di massa corporea inferiore a 17, un indice limite così basso che spesso non permette di recepire le cure perché il corpo è troppo debilitato. Ecco perché l’insieme di fattori che rallentano l’accesso alle cure rischia di essere fatale”.
Il discorso è che bisognerebbe accogliere e curare un paziente prima che il deficit diventi troppo grave.
L’etichetta di anoressica, come tiene a precisare Donatella, è una diagnosi che serve esclusivamente ai terapeuti, nonostante spesso rappresenti uno stigma con il quale si identifica un individuo che ha tratti personologici importanti alla base di una malattia che può essere mortale se non curata.
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