Basta all’isteria collettiva. Sulle etichette-alert in Usa è ora di adottare una buona strategia di comunicazione
di Serena Leo

MANDURIA – Il 2025 del vino è iniziato guardando agli States. Oltre alla possibile reintroduzione trumpiana dei dazi sulle importazioni, il paventato inserimento dell’health warning sulle etichette non fa dormire tranquilli i nostri produttori di vino. Dell’iniziativa se ne discute a seguito della pubblicazione di uno studio avallato dal Surgeon General’s Advisory, qui si conferma la complicità dell’alcol allo sviluppo di patologie tumorali al seno, al colon, al fegato ecc.
Le reazioni degli attori che con gli Usa ci lavorano non sono tardate ad arrivare e – al netto della bontà dell’iniziativa – le ripercussioni economiche sulle esportazioni potrebbero portare a rivedere strategie commerciali o pensare ad altri mercati più clementi, oppure il mondo del vino italiano dovrebbe fare una riflessione seria su come promuovere il consumo consapevole.
“Di certo non abbiamo accolto con entusiasmo la notizia” afferma Giovanni Dimitri, responsabile commerciale dell’Azienda Produttori di Manduria. “Non possiamo però fermarci e riflettere su come fare informazione corretta sul consumo di alcol, in particolare sul vino, serve evitare terrorismo sull’argomento. Piuttosto è utile dare informazioni corrette al consumatore, soprattutto a chi sceglie in modo consapevole cosa bere. Ridurre tutto, da entrambe le parti, a un funerale per il vino distoglie l’attenzione dal problema degli abusi di queste sostanze”.
Produttori di Manduria si sente chiamato in causa quando si parla di Stati Uniti d’America. Infatti fa i conti con un 33% del fatturato generato dall’export. Il loro Primitivo di Manduria ha successo a New York, New Jersey, Connecticut, Georgia, Illinois e California. Oltre agli Usa, gli altri mercati in cui il Primitivo funziona sono Uk, Germania e Cina.
Di questi avvertimenti in etichetta se ne è discusso per la prima volta nel 2023, quando l’Irlanda ha deciso di tutelare gli irlandesi informandoli, attraverso le etichette degli alcolici, circa i rischi per la salute. L’isteria collettiva italiana, in quel momento storico, non ha lasciato scampo a serie riflessioni. Ora che a provarci sono gli Stati Uniti, l’Italia deve fare i conti con l’eventualità di provare ad assecondare questo mercato che genera guadagni, ma senza snaturarsi.
“Derubricare il vino a prodotto cancerogeno mette in cattiva luce una bevanda, seppur alcolica, che fa parte della nostra tradizione e storia da sempre”, rileva Dimitri. “Si tratta di un prodotto fortemente legato a più territori italiani, genera guadagni, occupazione, è uno dei biglietti da visita del Paese. Del resto però, bisogna comprendere che il consumatore è sempre più attento a queste bevande e proprio negli Usa i low e no alcol stanno riscuotendo grande successo anche tra i più giovani. La salute è una delle leve del successo dei prodotti”.
Dimitri, proprio sull’argomento, prende ad esempio altri paesi che già si sono muniti di accorgimenti volti a propagandare l’uso consapevole di bevande alcoliche: “Già in altri paesi vengono già indicati in etichetta i valori nutrizionali, ma anche gli standard drinks che permettono di comprendere quanto e come è bene senza incorrere in conseguenze. Sono realtà in Nuova Zelanda, Australia, ma anche in altri paesi prendono piede. Andiamo incontro a tempi in cui non si può fare negazionismo. Bisogna parlare, però, anche di altri prodotti nocivi per l’organismo. Un esempio ne sono i cibi processati, gli oppiacei presenti in farmaci. Tutte concause che contribuiscono alla mortalità anche negli Usa”.
Su che genere di politiche adottare, onde evitare uno j’accuse continuo, si potrebbero coinvolgere le istituzioni, afferma Dimitri: “Il settore del vino italiano è fortemente frammentato, quindi mettersi d’accordo per adottare strategie comunicative univoche non è semplice. Però grazie alla politica e agli organi correlati, si potrebbe instaurare un dialogo affinché non si perdano ulteriori opportunità commerciali del settore vitivinicolo. Il made in Italy è fatto anche di prodotti agroalimentari ed essere messi al bando non sarebbe giusto”.
Secondo il commerciale della cantina l’impegno dei Produttori di Manduria è andare oltre, interagire con l’acquirente non nascondendosi dietro uno storytelling enologico obsoleto che non guarda ai pericoli del consumo inconsapevole.
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