I PRODUTTORI DEI PRESIDI LASCIATI SOLI, “DA SLOW FOOD ECO MEDIATICA E NIENTE ALTRO”

L’AQUILA – “Nessun aiuto concreto da parte di enti e istituzioni. Nemmeno da Slow Food di cui siamo presidio, a parte qualche iniziativa di carattere mediatico finita lì. Andiamo avanti grazie alle nostre forze, al nostro lavoro, perché siamo temprati da un Abruzzo che ti forma le ossa, oltre il carattere”.
Parole che arrivano in tutta la loro schiettezza da alcuni imprenditori agricoli dell’entroterra abruzzese, custodi dei pregiati Presidi Slow Food, che Virtù Quotidiane ha registrato in modo quasi corale.
Non prodotti qualunque i loro, ma simboli gastronomici di un territorio e della sua storia ultracentenaria, come la mortadella di Campotosto, il pecorino di Farindola e le lenticchie di Santo Stefano di Sessanio. Parte di un elenco molto più lungo di quei prodotti iscritti nella blasonata lista nata per perseguire l’obiettivo dichiarato di recuperare e salvaguardare piccole produzioni di eccellenza gastronomica minacciate dall’agricoltura industriale, dal degrado ambientale, dall’omologazione.
Dalla provincia dell’Aquila a quella di Pescara, ancora si fanno i conti con le calamità naturali straordinarie e di vasta portata che hanno messo in ginocchio un territorio. A partire dal terremoto, quello di gennaio scorso è solo l’ultimo in ordine di tempo dopo L’Aquila e Amatrice, per arrivare all’emergenza neve, mal gestita, un duro colpo per gli allevatori che hanno perso stalle e bestiame, e poi l’invasione dei cinghiali che hanno annientato interi raccolti.
I numeri lo dimostrano, la produzione della famosa mortadella conosciuta anche con il nome di “coglioni di mulo” è crollata del 30 per cento, quella della lenticchia di oltre il 50.
Loro, gli agro-imprenditori stringono i denti e vanno avanti perché l’unione fa la forza, con i consorzi di appartenenza che hanno assunto il ruolo di portavoce del popolo e le cooperative.
“La situazione è critica, la mazzata finale è arrivata con la neve e il terremoto di Campotosto insieme. La produzione della mortadella è calata del trenta per cento in un solo anno”, torna a denunciare Ugo Paolini, uno dei titolari dell’azienda agricola Nonna Ina. “A parte qualche invito a partecipare a fiere ed eventi, da Slow Food nessuna azione concreta volta magari a sensibilizzare, anche solo a livello mediatico, le criticità di un territorio in difficoltà. Sono le nostre uniche forze a mandare avanti l’attività”.
Il progetto di Presidi di Slow Food nasce nel 1999 per il recupero e la salvaguardia delle piccole produzioni. Ma che significa salvaguardia delle piccole produzioni?
“I cinghiali, dopo aver compromesso il raccolto delle lenticchie, stanno attaccando i campi di grano”, dice Ettore Ciarrocca, presidente dell’associazione Produttori della lenticchia di Santo Stefano di Sessanio, che proprio dalle pagine di questo giornale aveva sollevato la questione, “le gabbie in via di installazione, a cura dall’Ente Parco, sono una soluzione tampone, seppur necessaria. Dopo la denuncia del consorzio anche Slow Food, con un comunicato stampa, ha sollecitato gli enti preposti ad intervenire ma oltre a definire ‘intollerabile’ la situazione nulla ha potuto, o voluto, fare! Chiaramente per noi produttori è importante partecipare alle fiere promosse da Slow Food, ma il problema rimane”.
Sulla stessa lunghezza d’onda Fiorenzo Sarto, presidente del Consorzio di tutela del pecorino di Farindola: “Il contributo di Slow Food è indiretto, di tipo più mediatico che altro”, dice.
“L’area tipica di produzione va da Bisenti, in provincia di Teramo, a Carpineto della Nora in provincia di Pescara, nove comuni pedemontani colpiti duramente dalle avversità recenti. Inutile piangerci addosso, ci stiamo rimboccando le maniche”, spiega. “Il prodotto ha più richieste che capacità produttiva. La cosa incredibile è che le aree di Arsita, la zona più alta del comune di Penne, la Rocca di Adamo, non sono stati ricompresi nel cratere. Aziende che hanno subito gravi danni sono rimaste tagliate fuori”.
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