Cronaca 31 Lug 2023 18:01

O la critica gastronomica è lusinghiera, o non è. Il Gambero Rosso ribalta un paradigma (a cui lui stesso ci aveva abituato)

O la critica gastronomica è lusinghiera, o non è. Il Gambero Rosso ribalta un paradigma (a cui lui stesso ci aveva abituato)

ROMA – Una regola non scritta vuole che un critico o un giornalista enogastronomico sospenda il giudizio, magari riprovando una o persino più volte un’insegna, davanti a qualcosa che non lo convinca, prima di scriverne. E, generalmente, se un locale non merita, piuttosto soprassieda. Insomma, conti fino a dieci prima di stroncare con giudizi trancianti. Non sappiamo se il Gambero Rosso lo abbia fatto, prima di “demolire” il Bulgari Hotel Roma al quale lo chef Niko Romito presta il suo nome attraverso una consulenza (insomma non è il suo, e già su questo andrebbe aperto un capitolo), di certo quell’articolo poco lusinghiero sul tre stelle Michelin di Castel di Sangro (L’Aquila) segna uno spartiacque nel (modo di) fare critica gastronomica.

La celebre testata, a cui tutti quelli che sono nel settore nel bene e nel male guardano, capovolge infatti il paradigma al quale essa stessa ci aveva per certi versi abituati: o la critica è lusinghiera, o non è. Eppure, in fondo, il mestiere del giornalista dovrebbe essere proprio quello di dare spazio a qualsiasi punto di vista, tantopiù quando si tratta di un racconto di un’esperienza vissuta in prima persona, purché non si scada nel turpiloquio, senza risparmiare critiche purché – proprio come fa il Gambero quando apre una riflessione sull’importanza del servizio – queste servano ad animare un dibattito e, appunto, andare a fondo delle questioni.

Eppure nel mondo soporifero della critica gastronomica, dove si contano sulle dita di una mano quelli disposti a, criticare, appunto – che hanno anche avuto querele tutte, ovviamente, sempre cadute nel vuoto – l’articolo ha creato una levata di scudi suonando la sveglia a chef e addetti ai lavori da sempre abituati ad articoli pettinati e giudizi tutto sommato benevoli (anche perché, come dicevamo, quando il giudizio è negativo non si finisce in pagina).

“Non toccate il maestro”, “Dovreste vergognarvi”, “Sciacquatevi la bocca quando parlate di Niko Romito” è il refrain che corre sui social. Alcuni, in modo del tutto oltraggioso e irriverente, si domandano se all’autore dell’articolo sia stato fatto pagare il conto, per aver provocato tanta …critica! Qualcuno forse coglie nel segno, abituato a quell’approccio di cui parlavamo sopra, e scrive: “Ci vuole rispetto per chi lavora, non vi è piaciuto, non ne parlate”.

Tra gli ex allievi dell’Accademia di Niko Romito, alcuni vanno giù duro: “Oggi tutti giornalisti del food, di cui 8 su 10 fino all’altro ieri non conoscevano neanche la differenza fra una patata ed una cipolla. Siete il male assoluto della ristorazione! Come si può scrivere un articolo così!? Con tanto di copertina stile Gazzetta dello Sport. Vergognatevi, non siete degni neanche di nominarlo Niko Romito! Competenza è anche e soprattutto avere la sensibilità di saper scrivere un articolo basato su una esperienza (che voi, giornalai da 4 soldi), reputate negativa. L’onestà intellettuale non sapete che c… è perché probabilmente non avete neanche la licenza di terza media. Marchettari voi e chi vi dà la possibilità di scrivere uno scempio del genere”.

Nessuno, però, che si interroghi su quanto ci sia di vero nell’esperienza vissuta, su quanto possa essere più utile una critica costruttiva anziché sviolinate e recensioni devote, su quanto ci sia da migliorare nel servizio di sala – vero bersaglio del contestato articolo – che finisce sempre di più per annichilire il lavoro della cucina.

Ma come, non bisognava smetterla con il santificare gli chef e far credere ai giovani che cucinare significa diventare famosi in tv? Non bisognava iniziare a dare merito anche ai maitre, creando premi anche per loro, dandogli spazio sui giornali e dedicandogli copertine, per valorizzare la sala? E come credete che a tutti questi ritornelli si dia un seguito?

E se il giudizio dei piatti è in chiaroscuro, l’articolo del Gambero stronca proprio il servizio, giudicato “tragicomico”: “Nessun cameriere ci chiede alcuna indicazione sui contorni a scelta indicati nei menu, per la cotoletta non arriveranno mai. Nessuno dei piatti è stato minimamente spiegato, semplicemente appoggiato sul tavolo”.

Ebbene, a nessuno di voi è capitato, pure in ristoranti blasonati, di incappare in disavventure del genere? Oppure di restare, come ci è successo di recente, col calice vuoto per oltre venti minuti, anche in questo caso in insegne considerate di alto livello dalla critica che conta?

Per molti – siamo sicuri anche dei nostri lettori – continuerà ad essere ingiusta qualsiasi critica. E forse lo merit(iamo) anche, perché a quello la grande critica, come quella del Gambero, li ha abituati. Ma ora quel dannato articolo potrebbe segnare una svolta, utile anche a ridare dignità al mestiere di giornalisti e critici annichilito dagli influencer. (m.sig.)


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