Cronaca 26 Lug 2020 19:20

OMBRE DELLA CRIMINALITÀ ANCHE SUI BOSCHI DA UNA NUOVA RICERCA DELL’UNIVERSITÀ DELL’AQUILA

OMBRE DELLA CRIMINALITÀ ANCHE SUI BOSCHI DA UNA NUOVA RICERCA DELL’UNIVERSITÀ DELL’AQUILA

L’AQUILA – Più di 400 interviste realizzate nei 39 comuni del Parco nazionale della Majella tra l’estate e l’autunno del 2019 restituiscono una fotografia del contesto socio-territoriale nel quale opera l’ente Parco.

Sono contenute nel corposo rapporto “Comunicazione e partecipazione nel Parco della Majella. Attori, dinamiche e scelte condivise per la gestione della conflittualità ambientale e della presenza dell’orso”, frutto del lavoro di ricerca condotto da Cartolab, il laboratorio di cartografia del Dipartimento di Scienze umane dell’Università degli studi dell’Aquila, di cui è responsabile la professoressa Lina Calandra, e che sarà presentato per la prima volta giovedì prossimo, 30 luglio alle ore 17,00 al ristorante Fonte Romana di Pacentro (L’Aquila).

Cartolab, che si occupa principalmente di lavori di geografia sociale applicata alla gestione ambientale, in collaborazione con la dottoressa Francesca Palma, è lo stesso che ha condotto una ricerca analoga nell’area del Parco nazionale del Gran Sasso e monti della Laga, contribuendo a far accendere i riflettori sul fenomeno della mafia dei pascoli, che vedrebbe grandi aziende di fuori regione occupare vaste aree di terreni con il solo scopo di accedere ai fondi europei, pur senza garantire l’effettiva attività di pascolo degli animali.

E dalla nuova ricerca del laboratorio dell’Ateneo aquilano emergono presunti episodi illeciti che avverrebbero in Abruzzo anche nella gestione dei boschi, in particolare per quanto riguarda il legnatico.

Affermazioni scottanti sono riportate nel capitolo della relazione sul focus dedicato a “Le attività illecite e i fenomeni criminogeni in atto”.

“Il legname è gestito dal Sud dalle mafie”, afferma un intervistato in merito alle speculazioni sul legnatico, le cui generalità, per ovvi motivi, si mantengono riservate. “Non si presentano mica direttamente questi soggetti: ti chiama una banca e ti dicono che un tal progetto ‘deve’ passare”, rivela un altro soggetto.

“Succede questo: arriva una ditta, fa il taglio ma poi lascia tutto lì. L’interesse non è la legna, non è la raccolta o la vendita. Si sono presi i contributi e i pini li hanno lasciati là! Hanno fatto un casino. Si è provato a risolvere la situazione cercando qualcuno che si caricasse la legna; è venuto qualcuno che però ha potuto prendere solo una parte della legna, mentre un’altra parte di alberi è rimasta là: quelli tra 2-3 anni diventeranno materiale molto facile da incendiare. Hanno tagliato, hanno visto che non era remunerativo per loro cacciare la legna, hanno fatto la stesura di un verbale di fine lavori, si sono presi i soldi pubblici e arrivederci! Sono anche guai per i tecnici…”, spiega un altro interlocutore ancora che descrive nel dettaglio una delle situazioni tipo.

“La ditta boschiva ha fatto un deserto; prima c’erano due ditte di qui che poi subappaltavano a napoletani, casertani ecc. Le mire qui sono sulle biomasse. C’è il limite a 35 quintali che però non viene rispettato. La squadra che taglia è di Frosinone”.

Percezioni e dichiarazioni importanti che parlano di un quadro a tinte fosche, di attività criminose sui boschi, collegate anche ai pascoli, o comunque a tutti quegli ambiti che interessano l’economia della montagna e che possono attrarre fondi pubblici, in un clima di omertà e di paura generali.

Quello che si verificherebbe, in sostanza, è un utilizzo improprio del bosco e delle attività ad esso connesse, tra biomasse, taglio della legna e legnatico sui terreni di uso civico, da parte di imprese, cooperative e consorzi, provenienti anche da fuori regione, che si aggiudicano gli appalti “legalmente” ma con vantaggio scarso, o nullo, per le comunità locali.

In alcune aree della Calabria, in particolare sui boschi secolari della Sila, solo per fare un esempio, sono state accertate così spesso infiltrazioni di criminalità organizzata nel settore boschivo, da indurre il Corpo forestale dello Stato, a proporre, anche per le alienazioni dei boschi pubblici, le procedure di certificazione antimafia previste dalla normativa per gli appalti pubblici.

Probabilmente un meccanismo simile a quello utilizzato per i pascoli, stando non solo alle denunce contenute nella relazione di Cartolab, ma anche a quanto rilevato dalla Direzione distrettuale Antimafia nell’ambito della mega operazione su presunte frodi ai danni dell’Unione europea che coinvolge anche l’Abruzzo e che in Sicilia, sul Parco naturale dei Nebrodi, ha portato recentemente all’arresto di 94 persone.

Nel focus sui pascoli emerge l’affermazione significativa di un funzionario pubblico: “Questa gente fa regali ai comuni: se c’è un comune sfigato, che ha un bilancio di 1000 euro, questi soggetti propongono di ristrutturare la casetta sul pascolo, di aggiustare una strada, ecc. E tu sindaco che fai? Dai l’ok”.

Molte segnalazioni riguardano anche “uno stato generale di illegalità intorno alla raccolta del tartufo” evidenzia la docente universitaria di Geografia.

“Una questione che andrebbe indagata dagli organi competenti – ribadisce la Calandra -, le interviste fatte non ci hanno consentito di entrare in modo approfondito nel merito della dinamica che riguarda il bosco e che è tuttavia assimilabile a quanto avviene per i pascoli. Sempre di fondi pubblici parliamo”.

Infine, sempre in relazione alle speculazioni su pascoli e boschi, molto inquietante è il riferimento da parte di alcuni intervistati agli incendi boschivi avvenuti in provincia dell’Aquila nell’estate del 2017. Una delle interviste realizzate dai ricercatori mette addirittura in relazione l’incendio del monte Morrone e quello di Campo Imperatore, divampato a Fonte Vetica, affermando l’esistenza di un disegno superiore della criminalità organizzata.

“L’incendio del Morrone nel 2017 è a tutti gli effetti un attacco criminale. Nello stesso punto da dove nel 2017 è partito l’incendio del Morrone, due anni fa c’era stato un altro innesco. Prima del grande incendio sono stati trovati 6 inneschi; nello stesso pomeriggio è stato ritrovato un ungulato con la testa tagliata e dei cani depezzati” dichiara un residente.

“Sul territorio sono presenti i calabresi”, afferma un altro residente.

Va ricordato che sull’incendio del Morrone, avvenuto nell’estate del 2017, la Procura della Repubblica e la Direzione Distrettuale Antimafia hanno riaperto le indagini due mesi fa per fare luce sulla vicenda dai contorni evidentemente molto più larghi di quanto si fosse rilevato nella prima inchiesta.

“Se voglio farti un dispetto, ti brucio il terreno dove porti gli animali e così tu, poi, per 10 anni non ci puoi andare più…”: l’affermazione è chiaramente riferita ai terreni andati in fiamme che, per effetto della legge nazionale (21 novembre 2000, n. 353), non possono essere adibiti a pascolo per i successivi dieci anni.

“Qualche problema su chi gestiva i canadair c’era, del resto c’è un guadagno enorme con i canadair. I canadair sbagliavano a buttare l’acqua e in ogni caso, in certi casi, è inutile buttare l’acqua dall’alto perché così l’acqua non arriva nemmeno a toccare terra e spegnere il sottobosco”.

Il riferimento all’incendio del Morrone, in realtà – si legge nel rapporto – non riguarda solo il pascolo, come è facile immaginare esso viene messo in relazione anche con il bosco.

“Tutti questi incendi sono riconducibili alla criminalità, per i più svariati motivi. Molto probabilmente si sono incrociate più ragioni per interessi sui pascoli, sul bosco, per la gestione dell’emergenza, ecc.”.

Questo rapporto del laboratorio dell’ateneo aquilano è il frutto di una enorme ricerca tutta concentrata sul territorio della Majella che, oltre al focus sulle attività illecite e i fatti criminogeni, si articola in diverse sfere tematiche.

La prima riguarda la gestione del territorio sotto il profilo politico, del quadro normativo, degli incendi e del rischio, sia sismico che idrogeologico. La seconda sfera riguarda la montagna in fatto di spopolamento e abbandono, di infrastrutture e servizi alla comunità. La terza area tematica riguarda invece le attività in generale, con le considerazioni degli intervistati che si concentrano soprattutto su turismo, agricoltura e allevamento, in minima parte anche sull’industria, in riferimento alla valle del Sangro e a quella Peligna. L’attenzione della quarta e ultima sfera tematica del rapporto riguarda le risorse, quelle in particolare del pascolo, del bosco e dell’acqua.

Numerose – secondo lo studio condotto dall’Università – sono le fonti che consentono di ipotizzate l’esistenza di interessi speculativi sulle risorse boschive i cui contorni sono tuttavia ancora poco chiari e andrebbero approfonditi dagli organi deputati a farlo. La gestione del patrimonio boschivo è sempre stata controllata dal Corpo Forestale dello Stato che però è stato soppresso per essere accorpato a quello dei Carabinieri, con la riforma del Governo Renzi.


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