PASCOLI, L’ABRUZZO E L’AQUILA BARICENTRO DELLA MOLTIPLICAZIONE DI SOCIETÀ FITTIZIE

L’AQUILA – Partono dalle regioni del nord e da quelle del sud, si intrecciano, si confondono e si moltiplicano, ma rimbalzano tutte in Abruzzo, e in provincia dell’Aquila in particolare. La professoressa Lina Calandra mostra a Virtù Quotidiane le mappe che ha costruito consultando la banca dati del Sian, il sistema informatico agricolo nazionale, e incrociando i dati: da esse si evince come ci sia una costellazione di società che aprono e chiudono solo per accaparrarsi i cosiddetti titoli Pac, diritti che permettono alle aziende agricole di accedere ai finanziamenti dell’Unione europea.
Docente dell’Università dell’Aquila, geografa, coordinatrice del Laboratorio Cartolab, la Calandra premette che “è fuorviante parlare di mafia dei pascoli”, preferisce parlare di “mafie nell’agricoltura e, per quanto riguarda quello in cui ci siamo focalizzati noi, nella gestione dei pascoli”.
Parla di “un sistema organizzato, quantomeno a livello nazionale, di carattere mafioso, interessato a quello che di solito fanno le mafie, traffici di vario tipo, riciclaggio, reimpiego. La frode all’Ue c’è senza dubbio, ma è riduttivo parlare solo di quello”, rileva.
“Per capire quello di cui stiamo parlando”, osserva la Calandra, che è stata sentita anche dalla Commissione parlamentare Antimafia, “si deve avere un approccio con competenze in materia fiscale e societaria”.
Come questo giornale ha spiegato più volte, i contributi da parte dell’Ue vengono assegnati tramite i cosiddetti titoli Pac (Politica Agricola Comune), dei diritti legati, tra le altre cose, agli ettari di terra utilizzati che permettono all’agricoltore o all’allevatore di ricevere degli aiuti. I titoli sono riconosciuti anche in base alla superficie di pascolo che si possiede o a cui si ha accesso, per questo il meccanismo criminoso che si è generato ruoterebbe anche attorno all’assegnazione delle superfici, considerando che queste spesso sono di uso civico e dunque gestite dagli enti locali.
“Di indagini e processi dal 2006 in poi ne sono stati fatti diversi, ma spesso l’accusa di associazione per delinquere cade, nella maggior parte dei processi si arriva a condanne per truffa, peraltro anche con assoluzioni al terzo grado di giudizio”, afferma la Calandra. “Quello che si evince dalla nostra ricerca, è che in realtà si tratta di un sistema organizzato a livello nazionale e con ramificazioni persino fuori dall’Italia”.
“Noi naturalmente facciamo ricerca e non indagini”, fa osservare. “Non avremmo potuto fare indagini finanziarie, bancarie, partecipazioni societarie, così – visto che oramai il sistema dei titoli è chiaro, nonostante alcuni meccanismi sfuggano ancora – considerando che i titoli sono pubblici, siamo andati a vedere come si sono mossi dalla loro istituzione, nel 2005, al 2021, a partire dai soggetti presenti in Abruzzo, analizzando il movimento dei titoli in uscita e in entrata. Tizio e Caio da chi acquista i titoli e a chi, nel corso degli anni, li cede”.
“Partendo da due professionisti del Trentino presenti in Abruzzo con una delle loro società agricole”, racconta la professoressa, “abbiamo fatto una serie di visure per vedere quante società avessero e dove e quanti titoli Pac avessero, e abbiamo individuato sei società principali, quelle cioè con un portafoglio titoli più longevo, e altre otto con un portafoglio titoli della durata di appena due o tre anni: questo ci ha fatto chiedere che azienda agricola potesse essere quella che ha dei titoli per degli archi temporali così limitati!”.
“Titolo per titolo, abbiamo cercato da chi è stato acquistato e a chi, eventualmente, è stato venduto. Il risultato è che questi due soggetti hanno società in Trentino, Lombardia, Veneto, Abruzzo e Puglia e per ognuna di queste abbiamo rilevato che la maggior parte dei titoli viene acquistata dalle province di Bari e Foggia, vengono spostati principalmente in Lombardia e, negli anni, sono stati ceduti attraverso un circolo vorticoso per la maggior parte tra le società degli stessi due soggetti, in misura minore ad aziende presenti in provincia dell’Aquila. Girano, insomma, milioni di euro di cui non resta traccia nell’economia locale”.
“Delle 45 aziende analizzate in provincia di Foggia che cedono i titoli, ad esempio”, illustra la Calandra, “solo 9 dispongono ancora di titoli nel portafoglio, quindi probabilmente sono vere e operative, mentre 36 non dispongono più di titoli”.
Soggetti, insomma, che “aprono società, che sono aziende solo sulla carta, aprono un portafoglio titoli, presentano domanda di contributo, magari per un totale di titoli inferiore alla soglia prevista dal protocollo Antoci (protocollo di legalità istituito per impedire l’uso delle autocertificazioni antimafia con cui le organizzazioni criminali si accaparravano i terreni su cui poi chiedere i contributi, ndr), per due anni prendono contributi e poi cedono tutti i titoli alla stessa rete di soggetti”.
“Perché lo fanno per archi temporali ridotti? Per sfuggire ai controlli e per creare titoli da zero”, spiega la professoressa. “Nelle aziende pugliesi che abbiamo preso in esame, risultano titolari soggetti di novant’anni, spesso residenti nella stessa strada, oppure giovanissimi e donne che hanno diritto ad incentivi”.
La Calandra, poi, non esclude che i casi di cronaca che pure si sono registrati negli ultimi anni in provincia dell’Aquila, come l’inquietante morte del giovane allevatore di Ofena, possano essere in qualche modo legati al fenomeno: “Non è mafia dei pascoli, è criminalità organizzata di stampo mafioso nei pascoli: quindi vengono compiuti reati di ogni genere, droga, armi, rifiuti”, dice.
“Abbiamo osservato altri soggetti operanti in Abruzzo, come un trentino”, racconta poi la professoressa, “che acquista titoli anche dalla Calabria e li cede ad aziende della Sardegna e del Piemonte occidentale, o un veneto, in passato socio dei due professionisti trentini, molto noto in Abruzzo. Tutte ditte del nord nonostante gli animali che vengono portati nei pascoli abruzzesi arrivino dal sud, come ci hanno raccontato molte delle persone che abbiano intervistato per la nostra ricerca e di cui abbiamo avuto conferma incrociando i dati raccolti”.
Episodi e società, insomma, per nulla affatto isolati tra loro, ma tutti legati a doppio filo. Ne è convinta la Calandra: “Due dei soggetti più influenti in provincia dell’Aquila non sono indipendenti l’uno dall’altro così come i due non sono speculatori solitari, ma fanno parte di un unico sistema. Nel territorio non ti appaiono collegati, anche perché spesso si servono di prestanome, ma hanno un profondo legame”.
“In un comune montano della provincia dell’Aquila”, aggiunge la professoressa, “dove peraltro sono stati sequestrati immobili alla ‘Ndrangheta, c’è ad esempio una società di cui fanno parte alcuni dei soggetti di Trentino e Veneto che abbiamo esaminato e una persona del posto. Società che ha riscosso circa 361mila euro in un solo anno e, come molti altri, nel 2013 e 2014, considerando che nel 2015 si sarebbe ricalcolato il valore dei titoli, ha accresciuto il numero dei propri titoli attraverso l’acquisizione di superfici”.
“È spesso tutto al limite tra lecito e illecito”, sottolinea la Calandra, “ma il sistema di acquisizione dei titoli tradisce completamente gli obiettivi delle norme comunitarie, perché i fondi destinati all’agricoltura devono andare a chi è realmente agricoltore. In molti casi si tratta infatti di aziende che non hanno capi di bestiame o non ce li avevano fino ad un certo punto, quando hanno iniziato a costituire mandrie di animali anziani, a fine carriera, e questo spiegherebbe anche il ritrovamento di carcasse o animali in fin di vita, come raccontano anche in questo caso le cronache”.
Di esempi la Calandra ne fa molti, sono diverse le persone e le società di cui è stato ricostruita la storia e i legami, “ma il modello – dice – è sempre lo stesso”.
“Un altro dei soggetti presenti in Abruzzo, che viene dalla provincia di Cuneo ha aziende disseminate tra Piemonte, Liguria, Valle d’Aosta, entra in relazione con un umbro di origini campane, costituisce una miriade di società tra Umbria e Abruzzo, in particolare nella Marsica”, dice, “e questo fa delineare anche una spartizione del territorio: non si fanno guerra tra di loro, a dimostrazione di una regia unica, seppur con una costellazione di società”.
“Tra quelli che costituiscono tanti titoli e li cedono ad un singolo soggetto, c’è un soggetto nato in Marocco che nella programmazione 2005-2014 nella banca dati Sian neppure figura, mentre nella successiva improvvisamente risultano nella sua disponibilità 1.500 ettari che gli consentono di costituire nel 2015 un portafoglio titoli per un totale di circa 343mila euro, che incassa in quello stesso anno”, fa vedere la Calandra scorrendo tabelle e grafici. “Nel 2016 già inizia la cessione dei titoli, dimezzando sia gli ettari che i contributi: la cessione avviene sempre nei confronti dello stesso soggetto, un altro di quelli molto presente in Abruzzo, in particolare in alcune aree. Nel 2017 risulta con zero titoli Pac, dopo aver ceduto tutto allo stesso soggetto”.
Insomma, conclude amareggiata la professoressa, “tutto questo non può stare in piedi da vent’anni senza che alti livelli istituzionali non se ne siano accorti”. (m.sig.)
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