SULLA VULGATA QUAESTIO “DI L’AQUILA O DELL’AQUILA” UNA CENA-CULTURALE ALLO SCALCO METTE TUTTI D’ACCORDO

L’AQUILA – Non dovrebbe servire, ancora oggi, interrogarsi sulla formula corretta, eppure per rendersi conto di quanto la questione tormentata sia drammaticamente attuale è sufficiente scrollare quasi quotidianamente le bacheche social: “si dice di L’Aquila o dell’Aquila?”. Perciò, onore al merito della famiglia Ippolito, che proprio a questo ha voluto dedicare il primo di una serie di appuntamenti culturali nel ristorante Lo scalco, prestigiosa insegna della cucina abruzzese, nel cuore dell’antico Quarto di San Pietro.
Angelo De Nicola mattatore d’eccezione, Paolo Di Sipio coi suoi vini, la presenza straordinaria e incuriosita di Alessandro Pipero sono stati gli “ingredienti” di una cena rappresentativa dell’alto livello della proposta gastronomica del ristorante, erede della tradizione di “Delfina”.
Ma se la conclusione a cui De Nicola, acuto giornalista e scrittore è giunto al termine della serata – con intermezzi tra una portata e l’altra – è noto ai più (seppur non ancora unanimemente accettato), meno nota è la storia che ha ripercorso per arrivare a sostenere la tesi che la formula giusta sia quella che più si avvicina alla pronuncia, cioè “dell’Aquila”.
Non tutti sanno, ad esempio, che diverse “Aquila” si trovano in giro per l’Italia – un paese in provincia di Terni, Aquila d’Arroscia in provincia di Imperia per dirne alcuni – e anche per questo ad un certo punto, nella storia, viene aggiunto “degli Abruzzi”. Fino a quando, nel 1939, si arriva alla denominazione definitiva, non prima di un passaggio-chiave che si ha nel 1927, quando la provincia dell’Aquila viene smembrata per creare, da un lato, la provincia di Pescara – sottraendole Bussi sul Tirino e Popoli – e dall’altro la provincia di Rieti, sottraendo all’Aquila Antrodoco, Cittaducale e Amatrice. Un ridisegno geopolitico dell’Italia centrale che induce il podestà Adelchi Serena a realizzare la Grande Aquila, con l’annessione di 8 comuni limitrofi che diventano frazioni.
Ma non sarà Serena, come pure si potrebbe pensare – ha ricordato De Nicola – l’artefice della nuova denominazione della città, nel ’39, quando ha preso il posto di podestà Gian Lorenzo Centi Colella, che represse le istanze di autonomia di Paganica che pochi anni prima era stata annessa al comune capoluogo. Nello stesso anno, viene emanato il regio decreto con la denominazione Aquila degli Abruzzi e con la provincia che assume la denominazione di Provincia dell’Aquila.
Ma pur non volendosi accontentare di tutto questo, c’è l’Accademia della Crusca, in epoca contemporanea, a tagliare la testa al toro: la soluzione grafica migliore è quella che riproduce più fedelmente la pronuncia e che è più facile ad essere applicata da tutti.
La tavola, nel frattempo, è stata all’altezza dell’oratore: la cucina di spessore dello Scalco – apprezzata anche dallo stellato Pipero – ha proposto piatti intramontabili e novità in carta, sapientemente abbinati coi vini Di Sipio e non è mancata una mini verticale a sorpresa che ha innescato un dibattito tra i commensali sull’evoluzione di uno dei bianchi dell’azienda di Ripa Teatina (Chieti). Infine, torrone L’Aquila e il panettone che Giovanni Ippolito – chef che guida il ristorante insieme al fratello Armando e alla figlia di quest’ultimo, Massimiliana, in sala – ha lanciato per la prima volta dopo qualche anno di sperimentazioni.
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