Cronaca 25 Ago 2022 20:19

TRA PASSATO E FUTURO, RICERCA E INNOVAZIONE, BIODIVERSITÀ E SOSTENIBILITÀ: FABRIZIO VALENTE E LA “SUA” SOLINA

TRA PASSATO E FUTURO, RICERCA E INNOVAZIONE, BIODIVERSITÀ E SOSTENIBILITÀ: FABRIZIO VALENTE E LA “SUA” SOLINA

TAGLIACOZZO – “Adesso vi racconto una bella storia ma dobbiamo fare un salto indietro nel tempo”. Fabrizio Valente, del Consorzio Produttori Solina d’Abruzzo, quando parla ha gli occhi che brillano di entusiasmo: si occupa ormai da vent’anni di mantenere viva la solina, varietà antica di grano, e la coltiva nei suoi campi dei Piani Palentini, tra Scurcola Marsicana, Villa San Sebastiano, Rosciolo e Tagliacozzo (L’Aquila).

“Nel 1600 a Lanciano, come informano diversi atti notarili, c’era un mercato importante e si commerciava il grano di solina, molto amato e ricercato all’epoca. Nel 1700 a Napoli, poi, sempre col grano di solina, veniva impastato il miglior pane del Regno”.

La solina non è mai sparita nel tempo, ma pian piano se n’è parlato meno. Però, nella Marsica primi anni 2000, alla Cantina del Brigante, lo chef Mario Iacomini iniziava a trasformare in meravigliosi e gustosi piatti le varietà di grano che Fabrizio si occupava di reperire, insieme alle altre eccellenze d’Abruzzo, come la lenticchia di Santo Stefano, i fagioli di Frattura, i ceci di Navelli. In particolare si è soffermato sulla solina, dopo aver conosciuto Donato Silveri, agronomo di Sulmona: Fabrizio è laureato in Scienze Naturali e si occupa da sempre di biodiversità, e questo grano autoctono dell’Appennino centrale aveva delle particolarità che lo hanno interessato.

“Per noi è stata una sfida”, rivela, “quasi nessuno credeva nella nostra lungimiranza e invece ora il tempo ci ha dato ragione: la solina è un grano antico e prezioso e finalmente oggi tutti ne riconoscono il valore, ed è tornato ad essere apprezzato”.

La sua realtà consortile (alla cui creazione ha contribuito anche il compianto Giulio Petronio, che della solina aveva capito l’importanza) si è consolidata sempre di più nel tempo e ha collaborato persino agli studi della Facoltà di Bioscienze e Tecnologie Agro-Alimentari e Ambientali dell’Università di Teramo, in particolare attraverso la ricerca del professor Giampiero Sacchetti che “si basa”, spiega Fabrizio, “sulla caratterizzazione genetica di alcuni semi di solina e alla sua coltivazione in campi sperimentali, ad altitudini diverse. Pare che dai campioni geneticamente analizzati, la solina risulti avere un patrimonio genetico unico, simile ai grani turchi e della zona della mezzaluna fertile, ma unico. Una meraviglia”.

Ed è davvero meraviglioso il suo impegno profuso per la promozione e la tutela di questo grano antico. In tutto l’Abruzzo interno, quando si parla di grano, si fa riferimento generalmente alla varietà della solina, soprattutto ora che è tornato a essere molto più coltivato, dal Gran Sasso all’altopiano delle Cinque Miglia, oltre che nella Marsica, e il lavoro dell’Università rientra tra l’altro in un piano di intervento molto importante, coordinato dal Consorzio di Ricerca per l’Innovazione Tecnologica, la Qualità e la Sicurezza degli Alimenti. L’intento è quello di valorizzare una filiera sostenibile per la produzione di prodotti alimentari di qualità a base di solina, dal pane alla birra.

È fondamentale tenere presente l‘ottica della sostenibilità, visto il mondo in cui viviamo, nel bene e nel male. Alla luce di questo Salvatore Ceccarelli, professore di Risorse genetiche e Miglioramento genetico all’Università di Perugia, noto per aver effettuato in India poi in Siria diverse sperimentazioni partecipative, sta provando appunto un nuovo miscuglio genetico partecipativo: non si lavora una sola varietà, ma ci sarà un seme ibrido di centinaia di grani. Lo spettro genetico più ampio potrebbe essere la svolta del futuro: coi cambiamenti repentini del clima questo grano dovrebbe adattarsi meglio e prima alle nuove condizioni. Il clima, il terreno, l’ambiente, del resto, sono fondamentali per la riuscita di una coltivazione e questa sperimentazione è pensata per essere un aiuto ai contadini più poveri delle zone più marginali del pianeta.

“Ma tutto ciò non intacca la biodiversità, anzi, ogni seme è fondamentale per creare il miscuglio evolutivo più adatto alla determinata situazione”, aggiunge Fabrizio, “tanto che mi viene in mente la lezione tratta da Armi acciaio e malattie di Jared Diamond: l’umanità è intelligente e abile allo stesso modo su tutto il pianeta, ma il pianeta non è uguale ovunque, il suolo non lo è, il terreno, le condizioni climatiche, ed è per questo che gli europei e gli asiatici hanno avuto la meglio sugli altri popoli, almeno storicamente. Questo è un libro che io consiglio a tutti i contadini e i coltivatori, è un libro importante, anche perché ricorda a tutti che il grande salto della civiltà è avvenuto con l’agricoltura, prima l’uomo era nomade e solo dopo passa alla situazione stanziale e nasce la società. Non dimenticherei questa evidenza”.

Un libro importante davvero, che ha mille declinazioni interpretative, specie in questo momento di guerre e pandemie, di acciaio e malattie dunque, ma è bello in effetti ricordare questa evidenza che Fabrizio cita, portando l’attenzione, insieme a Diamond, anche su Stefano Mancuso, col suo Verde brillante: “E se gli uomini si sono fermati, stanziati – apparentemente perché è di nuovo tutto cambiato e tutto si muove – così le piante che sembrano ferme, invece, camminano, hanno un modo diverso di camminare ma camminano coi semi. Si spostano, si riproducono, si mescolano. Nomadismo e stanzialità di uomini e piante, è una continua evoluzione”.

Sono interessanti gli spunti di riflessione di Fabrizio, che ama la sua terra e i prodotti che coltiva e studi. Lavora sulla biodiversità a tutto tondo, dal grano agli alberi da frutta. Per esempio, nella Valle del Giovenco c’è un patrimonio incredibile di biodiversità di mele e pere che pochi conoscono e Fabrizio sta lavorando anche a un progetto su questo territorio, insieme a Pasquale Leonardi: “Guarda che mele stupende, sembrano a forma di pentagono” ride mentre mostra la sua galleria del telefono, uno scrigno di tesori: grani dorati, mele e pere di ogni forma e colore, ciliegie: “Certo, anche le ciliegie: solo nella zona di Tgliacozzo, ce ne sono 15, 16 varietà”.

A parlare con Fabrizio si imparano molte cose, ha la sapienza di chi ha studiato la teoria e l’umiltà di chi ha messo in pratica. E poi, soprattutto, tanta passione, quella che davvero fa la differenza: oggi la solina è stata riconosciuta dall’Onu tra i dieci prodotti alimentari di montagna più rari e preziosi al mondo ed è stata selezionata dalla Commissione Europea, nell’ambito di un progetto volto al recupero, alla salvaguardia e alla valorizzazione del patrimonio europeo delle risorse genetiche in agricoltura, come varietà di conservazione e recupero del germoplasma. La Commissione, infatti, ha scelto la solina tra soli quattro casi europei di biodiversità agraria, e la solina è l’unico in Italia, insieme al maiale nero della Croazia, ad esempio, o un crauto particolare della Germania.

“L’interesse europeo per la solina rappresenta in grande quello che questo grano è per noi abruzzesi” conclude Fabrizio:” l’attaccamento alle radici e insieme la volontà di reinventarsi nei futuro, sempre nell’ottica della tutela della biodivesità e di un’agricoltura sostenibile e attenta ai cambiamenti”. Antonella Finucci

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