Cantine e vini 08 Mar 2024 19:17

Anfora vs legno, l’esperienza di Elena Fucci al convegno di Feudo Antico con Helmut Köcher e Attilio Scienza

Anfora vs legno, l’esperienza di Elena Fucci al convegno di Feudo Antico con Helmut Köcher e Attilio Scienza

TOLLO – “Le due facce della stessa uva. In una prevale  l’acidità. In un’altra c’è una maggiore spinta tannica. Ma entrambe risultano eleganti”. Ha usato poche, semplici ma chiarissime parole Elena Fucci, vignaiola lucana, proprietaria dell’omonima azienda vinicola, per raccontare il suo “studio, fatto con un approccio scientifico”, e che l’ha portata a tirare fuori due vini diversi, ma simili, con la stessa uva. Entrambi si chiamano Titolo, entrambi sono fatti con l’Aglianico del Vulture, uva coltivata in antichi vigneti a seicento metri di altezza sul livello del mare, nella zona del Vulture, vulcano della provincia di Potenza, in Basilicata.

Titolo Classico però è vinificato in acciaio e affinato in legno. Titolo Amphora, neanche a dirlo, viene vinificato e affinato in anfora. Il progetto di Elena Fucci e di suo marito Andrea iniziato nel 2017 per l’anfora, e nei primi anni 2000 con l’azienda vinicola, li ha portati a produrre questi due vini in un percorso parallelo con gli stessi passaggi, ma in contenitori diversi. L’uva viene raccolta nello stesso momento, con vendemmia tardiva, come richiede il vitigno, gli acini interi cominciano la loro macerazione. Per il Classico inizia l’acciaio, per l’altro l’anfora.

Dopo 15 giorni a temperatura controllata, inizia la malolattica che per il Classico va in legno per l’altro in anfora. Poi il Titolo Classico fa un anno di affinamento in barrique, “da due ettolitri e con doghe più spesse della norma, fatte apposta per noi”, mentre l’Amphora affina un anno nella terracotta. Infine entrambi proseguono un anno di ulteriore affinamento in bottiglia. “Stessa uva, stessi tempi, ma il vino in anfora ha un colore più cupo, perché un materiale così poroso porta a una micro ossigenazione più lenta”, spiega ancora. “Al palato c’è più acidità per quello in legno, mentre dall’anfora c’è una spinta tannica. Viene fuori un vino moderno, ma non modernista, è un ritorno al passato”.

Ed è proprio così, l’utilizzo dell’anfora sempre più scelta dai produttori vitivinicoli in Italia e nel mondo, è un ritorno alle origini più antiche del vino.

È da lì, dal passato più remoto che si sé sviluppato ieri a Tollo (Chieti), il convegno “Vino in Anfora”, che ha visto relatori insieme ad Elena Fucci, Cesare Ricciato, dell’azienda Tava, che in Trentino produce anfore e ha raccontato filosofia e modalità di produzione dell’impresa, e poi Helmut Köcher, il fondatore del Merano Wine Festival, e il professore Attilio Scienza, docente all’università di Milano, tra i massimi esperti di anfora e di vitigni antichi. A fare gli onori di casa Vittorio Di Carlo, presidente di Feudo Antico, che ha promosso l’evento.

Poggiati su duemila anni di storia, perché l’azienda di Tollo siede proprio sui resti di un’antica domus romana, di cui l’azienda è custode e che insieme alla Soprintendenza delle Belle Arti, sta promuovendo un progetto di recupero, produttori, enologi, giornalisti ed esperti del mondo del vino hanno assistito all’incontro che è stata l’occasione per raccontare esperienze, ma anche per ripercorrere la storia del contenitore più antico per il trasporto e la vinificazione.

“Nel 2021 siamo riusciti a realizzare questa struttura”, ha spiegato Di Carlo. “Siamo ancora impegnati nel progetto di restauro di nuovi reperti individuati. Avendo incrociato nella nostra strada delle antiche anfore, non potevamo non provare a sperimentare la nostra capacità di fare vino con questo contenitore”.

Il convegno ha visto una lectio magistralis di Scienza che ha ripercorso la storia dalle origini ad oggi di questo materiale e del suo impiego per il vino “che da semplice contenitore è diventato strumento di marketing, comunicatore del vino”, ma che ha anche sottolineato questo ritorno oggi.

“Le anfore sono motivi archetipici ad alta numinosità (da Numen che Jung usava per indicare l’emozione che suscitano i luoghi), non solo per l’eleganza delle forme, ma per il passato, per le evocazioni che provocano, per il sacro delle tante vite che ci hanno preceduto, per la loro capacità di sopravvivere alle generazioni. L’anfora è dunque una testimonianza numinosa perché in questa l’uomo riconosce non solo il cammino fatto dai processi di evoluzione della natura, ma è affascinato soprattutto dal mistero delle origini del mondo”.

Per Köcher l’anfora può essere lo spunto per una rivoluzione del mondo del vino. Non a caso ha parlato di “@mphoRa Evolution”, usando la chiocciola che i romani utilizzavano per indicare le anfore, come unità di misura, e dove la R è maiuscola ad indicare “che l’evoluzione di questo contenitore può essere rivoluzione. In Italia è scoppiata una rivoluzione”, ha detto il patron del Merano Wine Festival, “fatta quasi di nascosto, perché molte aziende che fanno prodotto in anfora lo stanno ancora sperimentando e quindi non lo pubblicizzano”.

E se tanti produttori sembrano non credere ancora in questo ritorno, Köcher al contrario né è grande fautore, tanto che nell’ultima edizione del festival ha dedicato ampio spazio alla Georgia, che di anfore è il Paese massimo esperto e che nell’edizione 2024, introdurrà, “il Wine Hunter Amphora Awards, per il vino e i prodotti in anfora. Oggi parliamo tanto di naturalità, e a mio avviso un vino che fa fermentazione in terracotta, rientra nel concept di sostenibilità e di naturalità. A giugno promuoverò”, ha anticipato, “un evento importante che vuole cercare di diventare di riferimento a livello internazionale proprio sulle anfore”.


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