Dalla Roma imperiale ai giorni nostri, con Vinum Hadrianum la cultura enologica attraversa le civiltà
ATRI – Poche cose come il vino contengono contemporaneamente passato e futuro, intrecciano storia e attualità, hanno accompagnato e accompagnano i mutamenti della società, sono capaci di interpretare usi e costumi e sono una chiave di lettura del territorio in cui vengono prodotte. Dal vino, da come si è prodotto e da come si produce oggi, da come sono cambiati i consumi, è possibile ricostruire cambiamenti epocali che la storia dell’uomo ha conosciuto.
E un’azienda come Vinum Hadrianum, nata ripercorrerendo le radici di una delle città più antiche d’Abruzzo, Atri (Teramo), non può esimersi dal rendere il vino occasione di cultura, andando proprio a ricostruire quel che accadeva a tavola ai tempi della Roma imperiale. Come è stato con l’incontro “Sapori e gusti dell’epoca romana” che dopo l’assaggio dell’estate scorsa all’Amber Wine, enoteca aziendale in centro a Pescara, è tornata sull’argomento, fonte inesauribile di spunti, con il professor Leonardo Seghetti, agronomo e tecnologo alimentare, e i docenti universitari Mauro Serafini ed Ernesto Di Renzo, moderati da Eleonora Lopes.
Non è un caso che Vinum Hadrianum ha fatto della vinificazione in anfore realizzate da maestri ceramisti di Castelli un suo punto caratterizzante, proprio come forma tradizionale di vinificazione che è stata utilizzata sin da quando l’umanità ha scoperto per la prima volta come ottenere il vino.
Era il 2018 quando Piero Pavone, imprenditore del settore digital ma con diversi interessi economici, nella propria città d’origine ha investito per realizzare un sogno, riportare in vita il vino atriano dell’antica Roma, caratterizzato da lunghe macerazioni sulle bucce e lavorazioni in anfore di terracotta realizzate manualmente da artigiani di Castelli.
Dopo il Convivium all’auditorium Sant’Agostino, la serata è proseguita a Palazzo Sorricchio, quartier generale di Vinum Hadrianum nel centro storico di Atri, dotato di sale affrescate e un magico giardino, per l’assaggio delle varie referenze e finger food curati dallo chef Gianni Dezio.
“Raccontiamo la storia del territorio, l’azienda nasce ad Atri per riscoprire e rinnovare le eccellenze di questo luogo, anticamente conosciuto come Ager Hadrianus”, dice Marta Lupoletti di Vinum Hadrianum. “Promuoviamo progetti profondamente legati al territorio, recuperando una storia antica e radici forti”. Ne è l’esempio la Sartoria dei Duchi, una delle iniziative imprenditoriali del patron dell’azienda vinicola, che ispirandosi all’eredità della casata degli Acquaviva che governarono Atri nel XV secolo, ha dato vita ad un’azienda che realizza abiti, camicie, accessori e scarpe di lusso e personalizzati.
“Atri ha una storia che parte duemila anni fa, nell’antica Roma ha conosciuto momenti di splendore anche dal punto di vista del commercio con prodotti che venivano anche esportati”, ha ricordato Lupoletti, “proprio come il vino che si faceva in questa zona”. Che per essere trasportato veniva messo proprio in anfore di argilla, iconico contenitore attorno al quale Vinum Hadrianum ha costruito la sua immagine.
“Il vino meglio di ogni altro prodotto è in grado di leggere un territorio, raccontarcelo e portarlo a tavola”, riflette Angela Ippoliti, che insieme al marito Piero Pavone attorno al vino sta costruendo una serie di incontri culturali. “Andando oltre le semplici degustazioni, omaggiando un territorio che realmente ci ispira nel quotidiano perché è custode di una storia millenaria e quindi ci motiva a fare sempre meglio”.
“Conoscere la storia è importante perché ci fa capire molti aspetti del nostro comportamento che ignoriamo, spesso il passato contiene un insieme di conoscenze, significati e valori che in molti casi ancora oggi continuano a fondare il rapporto che abbiamo con il cibo”, è stata la riflessione del professor Di Renzo, che a Roma guida il comitato scientifico che indivuderà le aree dove il Comune prevede di ripristinare una serie di vigneti urbani.
Un’operazione di “risarcimento storico” la definisce l’antropologo, ricordando come non sia casuale che sono decine i luoghi all’interno della cinta delle mura aureliane dove la toponomastica evoca la viticoltura.
D’altra parte, ha aggiunto, “gran parte della produzione vinicola attuale, sulla base di analisi genetiche, hanno evidenziato come circa 70 dei vitigni attualmente coltivati in Europa derivano da un unico antenato che l’imperatore Probo dal 281 dopo Cristo selezionò con delle particolari caratteristiche di resistenza, dandolo in dotazione alle legioni affinché ovunque arrivassero segnando i confini dell’Impero, lo piantassero. Questo sia per garantire l’approvigionamento di vino ai soldati, ma anche per questioni politiche e ideologiche perché impiantare un vigneto significa investire nel futuro e quindi dimostrava la volontà di restare”.
“I vini di allora non sono quelli di oggi”, ha ripercorso Seghetti, “è significativo però che molti vitigni di oggi sono quelli di allora, si sono adattati nel tempo con il fenotipo che ha preso il sopravvento sul genotipo e abbiamo una variegata diversità di vitigni che hanno origini antichissime”. (m.sig.)
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