Cantine e vini 12 Ott 2023 19:10

Federico Nardi “McCalin”, il vigneron di Martinsicuro e le vecchie vigne di uve indigene: “Una follia che mi costa, ma non mollo”

Federico Nardi “McCalin”, il vigneron di Martinsicuro e le vecchie vigne di uve indigene: “Una follia che mi costa, ma non mollo”

MARTINSICURO – Poeta, vignaiolo, artigiano, montepulcianista, anarchico del vino abruzzese. Federico Nardi “McCalin”, nomignolo attribuito alla casata di famiglia nella parlata locale, è tutto questo insieme e molto altro.

Teramano di confine lì dove l’Abruzzo si confonde con le Marche, studi da capitano di lungo corso, Federico ‘Mccalin’ è un vigneron a tutto tondo. Grande passione, vini sinceri, di grande pregevolezza, “una scommessa che non ancora paga economicamente”, il conforto degli estimatori più estremisti. Che sommati all’apprezzamento delel guide di punta nel settore non sono poca cosa.

Tre su tre dei vini presentati lo scorso anno hanno ottenuto gli ambiti Grappoli Bibenda: 4 Grappoli al Bianco Bop ’21 e al rosso Comandante ’20, 3 Grappoli al Rossodamare ’19. Risultato più che lusinghiero che ripaga dello scotto di un mercato fermo dal dopo Covid.

“Una follia a cinquant’anni suonati buttarmi a capofitto nell’azienda agricola” racconta Federico a Virtù Quotidiane tra fragorose risate. Poi aggiunge serio: “Amo il vino e lo bevo. Ne ho conosciuti e venduti tanti nel mio bar vineria che poi ho chiuso nel fatidico 2020, non riuscivo a occuparmi di tutto, ho scelto la terra”.

Nemmeno così però si scherza. Federico è in campagna tutto il giorno, lavora nella sua micro cantina, due stanzette di casa a un tiro di schioppo dal mare, dove montepulciano, trebbiano, malvasia e passerina fermentano e affinano, senza fretta in cisterne d’acciaio.

Il vignaiolo di Martinsicuro (Teramo) progetta i suoi vini e le etichette, quasi tutte di suo pugno, “olio su spatola”. Spende tanto (“8mila euro solo per tappi e bottiglie” fa notare ) ma soprattutto si spende in energie fisiche per produrli e venderli, quei nettari. D’altronde, riconosce, “questo vino è particolare, se non lo spingi è complicato piazzarlo”. Perciò largo a fiere del naturale e degustazioni imperdibili , che poi racconta sui social con reel a tempo di jazz.

Tutto da solo. Un artigiano puro. Uno che non molla. Con una visione anarchica del mondo, fuori dagli schemi e dalle mode. Come i suoi vini.

Vini genuini, limpidi e preziosi, naturali al cento per cento tappi di sughero compresi. “Mai metterei la plastica su vini non trattati” si accende, “né faccio pagare il mio lavoro nel prezzo del vino”.

“Con un’annata micidiale come questa flagellata dalla peronospora ho sputato sangue a zero ma il rispetto per il vino non è mai venuto meno, faccio trattamenti costosi ma poi la microbiodiversità della vigna è tutta lì, viva, come il mio vino. Penso positivo e non mollo” .

È l’approccio a distinguere il progetto McCalin. Tante etichette – ferme a 13 “solo per motivi di spazio” – per quanti sono i cru imbottigliati, mai uguali da un’annata all’altra.

Vini da garagista, produzioni volutamente limitate, di nicchia, attualmente 5mila bottiglie, lavorazione “alla francese, senza mischiare”.

Solo di Montepulciano d’Abruzzo se ne contano fino a sei di etichette, e poi i Trebbiano, Passerina e Malvasia in uvaggio e non. Dalla Malvasia ottiene uno spumante ancestrale senza solfiti aggiunti, Prsntosa, e un orange, Orange Bop, in realtà giallo, indigeno e fuori dagli schemi. Come gli altri suoi fratelli.

Nel bicchiere, il nettare di vecchi cloni allevati in piccole parcelle recuperate in extremis tra le colline vibratiane di Colonnella e Controguerra. Cinque vecchie vigne a filare a doppio cordone speronato, “così le ho trovate e così sono rimaste, si lavorano meglio” dice Federico, “la vigna più giovane è dell’81, la più vecchia del ’56, quasi settant’anni di vita” .

Con passione e dedizione totale, Federico ha restituito identità a quei filari indigeni, “ma senza stressarli, lasciandoli campare” aggiunge. Rese bassissime, minima solforosa, lungo affinamento, grande concentrazione, massima espressione del terroir. È il suo credo, che lo porta ad aspettare anche due anni prima di uscire con un bianco. Una filosofia particolare che non trova seguaci in massa, ammette, ma estremisti che apprezzano, osannano e passano parola quelli sì, eccome.

“È che qui da noi”, considera, “non siamo abituati a bere in questo modo, vini da lungo affinamento che non hanno grandi acidità Un pregio per i francesi, ma in Italia manca questa cultura. Ma adoro l’Abruzzo, il mio paese, e trovo scandaloso che si imbottigli Montepulciano d’Abruzzo fuori regione. Abbiamo a disposizione un grandissimo vitigno, potenzialità enormi da sfruttare se lo lasci invecchiare bene, un prodotto che mi sta dando ragione. Il mio MdA è apprezzato in tutta Italia, questa uva tipica autoctona ha tutti i requisiti per diventare un grande vino da grande ristorazione. Imbottiglio fino a sei MdA da vigne diverse, è un vino che cambia anche in base alla lavorazione. In una degustazione orizzontale ha lasciato tutti increduli con mia grandissima soddisfazione. Il problema semmai è la ristorazione che ricarica fino a cinque volte il prezzo della bottiglia…”.

Poi s’infiamma. “Che dire di quell’improbabile rosa cipolla che passa come Cerasuolo d’Abruzzo? Ma come fa a essere rosa petalo, dico, se a fine agosto il MdA è viola e a settembre ancora più scuro! Così mi tocca fare il rosato, in realtà il classico Cerasuolo, che lascio per 6-8 ore sulle bucce. L’ho chiamato Liberoarbitrio, come dire ‘faccio come mi pare’. Un vino di bella acidità, ottimo con la pizza”.

Nella visione di Federico ogni vino nasce da un progetto. Vini concettuali, complessi, “da bere con”, fatti per trovare l’esaltazione ideale con la buona tavola. “Sono anche sommelier” ricorda, “penso in automatico all’abbinamento e quando ho voglia di bere chiedo prima a mia moglie cosa mangeremo”.

E via con i suoi MdA da collezione, ordinati dal più leggero al più complesso: Meneinfischio, Rossodamare, Rosso Bop, Comandante, Incontro, Alkemico. Poi iI bianchi Manebiank (trebbiano in purezza), Animae (affinato a botte scolma), gli uvaggi Kuvè Antica e Bianco Bop. Tutti pezzi di cuore. “Il mio mondo, le mie origini, che meglio non potevo rappresentare se non con una foto storica sull’etichetta di Kuvè Antica; la casa di famiglia dietro la quale avevamo una vigna di malvasia oggi occupata da sabbia e mare che avanza”.

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