VINO, “RIVOLUZIONE FRANCESE” IN ABRUZZO. NICODEMI: ECCO PERCHÉ CONVIENE PRIVILEGIARE IL TERRITORIO AL VITIGNO

NOTARESCO – È un cambio di passo, radicale e culturale, per la valorizzazione del vino d’Abruzzo quello da cui parte e a cui mira il nuovo disciplinare del vino d’Abruzzo. Una settimana fa, il consorzio Tutela vini d’Abruzzo ha presentato le nuove regole che caratterizzeranno, nel prossimo futuro, produzione e promozione dei vini regionali.
Il percorso, cominciato nel 2019 si è concluso formalmente nelle scorse settimane con l’approvazione del ministero delle Politiche agricole del nuovo disciplinare. Ma questo, di fatto, è il punto di inizio di un nuovo cammino per portare sempre più in alto i vini d’Abruzzo. Il nuovo metodo cambia il paradigma che fino a oggi ha caratterizzato l’immagine del vino regionale. Un’immagine fortemente incardinata sui vitigni e che prova più a spingere sul territorio, come fanno i francesi, ma anche come fanno i toscani o i piemontesi ad esempio.
“In Abruzzo abbiamo un vitigno, e quindi un vino, che sono un diamante – spiega a Virtù Quotidiane Alessandro Nicodemi, produttore dell’omonima cantina di Notaresco (Teramo) e vicepresidente del Consorzio Tutela Vini d’Abruzzo – . Ma qualsiasi gemma più la sfaccetti e più ha valore”.
Le sfaccettature per un vino non possono che arrivare dalle condizioni pedoclimatiche di un territorio che contribuiscono a consegnare un prodotto completamente diverso in una zona rispetto a un’altra. “Cinquant’anni fa la nostra regione ha puntato tutto su un vitigno: il montepulciano – continua Nicodemi -. Un approccio completamente diverso da quello che hanno avuto in Toscana per esempio, dove il sangiovese, a seconda di dove si coltiva, diventa Brunello di Montalcino, Chianti, Chianti classico o Nobile di Montepulciano. Lo stesso per il vitigno nebbiolo, che è vino Barbaresco, Barolo o Nebbiolo”.
Puntare tutte le fiches su un vitigno e non sul territorio, per Nicodemi è commercialmente e comunicativamente un punto di debolezza. Da qui la rivoluzione che con il nuovo disciplinare il consorzio punta a fare. “Il Montepulciano d’Abruzzo, che rappresenta l’86 per cento della produzione abruzzese, non può più identificarsi tout court in territorio così ampio. Una denominazione così vasta, che parte da Martinsicuro (Teramo) arriva fino a Vasto (Chieti) passa per L’Aquila non può essere veicolata come un’eccellenza- va avanti il produttore -. All’unanimità dei soci, nel consorzio, abbiamo deciso di traslare 4 sottozone con le 4 province. Dalla vendemmia 2022 o dalla 2023, andremo ad anteporre le 4 sottozone al vitigno”.
In altre parole, il Montepulciano d’Abruzzo Doc diventerà, a seconda di dove viene prodotto, Colline Teramane Montepulciano d’Abruzzo Doc (era già così per la Docg), Colline Pescaresi Montepulciano d’Abruzzo Doc, Terre di Chieti Montepulciano d’Abruzzo Doc e Terre dell’Aquila Montepulciano d’Abruzzo Doc. Stesso discorso, per la sola categoria Superiore, varrà pure per le altre due Doc Trebbiano d’Abruzzo, Cerasuolo d’Abruzzo dei vini principe abruzzesi. “Ad esempio il Trebbiano d’Abruzzo Doc resterà così com’è – specifica Nicodemi – ma se un produttore vuole fregiarsi della sottozona, potrà produrlo nella versione Superiore e quindi con un disciplinare molto più restrittivo, potrà valorizzarlo, facendolo diventare ad esempio Terre dell’Aquila Trebbiano d’Abruzzo Doc Superiore”.
Lo stesso meccanismo vale anche per la Doc regionale: Abruzzo. Quest’ultima apre la strada quindi a tutti gli altri vitigni autoctoni (Pecorino, Passerina, Montonico e Cococciola). In questo caso, ad esempio, un produttore della provincia di Pescara potrà porre in etichetta del suo Pecorino Superiore, la dicitura, Colline Pescaresi Abruzzo Doc Superiore Pecorino. “Le menzioni Superiori, del Montepulciano, del Trebbiano, del Cerasuolo e Abruzzo Doc, sono quelle per le quali, con una seconda domanda, in futuro chiederemo l’imbottigliamento in zona di produzione. Questo metodo – continua Nicodemi – va a salvaguardare le cantine sociali che potranno continuare a vendere la quota di vino sfuso fuori regione, ma non sacrifica i produttori privati che potranno spingere un vino ancora più caratterizzato e identificato. È inammissibile, agronomicamente, pensare che un Montepulciano d’Abruzzo aquilano sia uguale a quello teramano, chietino o pescarese. Il Dna è lo stesso ed è quello delle uve, ma l’espressione della pianta cambia per effetto della conformazione del territorio e delle escursioni termiche. La superficie del Montepulciano d’Abruzzo, in un’unica regione, è la più ampia che esista, appena dopo il Prosecco, che unisce tre province di tre regioni diverse”.
Secondo Nicodemi consegnare l’impronta delle 4 zone ai vini è l’unica strada “per presentarci al mercato in maniera più appetibile e più caratterizzante”.
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