La patata turchesa, gusto antico e colore unico di un ecotipo dell’Appennino abruzzese

L’AQUILA – Alcune storie meritano di essere raccontate, come quella della patata turchesa, antica varietà di Solanum Tuberosum, entrata a fare parte, a pieno diritto, del ricco patrimonio agricolo abruzzese.
Nel corso dei secoli l’introduzione nelle colture di semi più produttivi ha fatto sì che alcune varietà autoctone venissero sostituite, altre sono sopravvissute fino ai giorni nostri, e altre ancora si sono aggiunte a quelle ancestrali, permettendo lo sviluppo di nuovi ecotipi locali.
A quest’ultima categoria appartiene la patata, introdotta dall’America e diffusasi in Abruzzo sul finire del Settecento. Fu inizialmente poco apprezzata dai contadini, radicati nella convinzione di non voler mischiare le coltivazioni locali con le nuove, anche se ben presto, con le carestie, si accorsero che la patata era una risorsa strategica, specialmente per le popolazioni montane. Era una pianta che garantiva buone produzioni anche a quote elevate, il prodotto che se ne ricavava era di facile conservazione e, soprattutto, consentiva scambi di prodotti anche tra i produttori delle zone interne. Il detto popolare “la patane è mezze pane”, poi, ben racconta l’importanza che assunse il tubero per gli abruzzesi che vivevano nelle fasce interne della regione.
La patata turchesa, ecotipo sviluppatosi nell’area del Parco nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga, probabilmente tra i primi ad essere introdotto e diffuso, deve il suo nome alla colorazione viola bluastro della buccia anche se è probabile, per gli altri nomi con cui è conosciuta (turca, turchessa, turchesca), che sia sinonimo di ‘straniero’, ‘forestiero’, come avvenne per il termine ‘grano turco’ riferito al mais.
Un tempo ampiamente presente nei campi coltivati in alta quota, fino al 2001, anno in cui l’Ente Parco ha avviato un ampio progetto di recupero, tutela e promozione, la turchesa era quasi del tutto scomparsa, presente solo nei ricordi degli anziani e di vecchi contadini.
In Abruzzo non veniva più coltivata poiché, oltre ad avere un aspetto poco appetibile al consumatore, data la forma irregolare e la diffusa occhiatura, ha una resa per ettaro inferiore del 20% rispetto ad altre varietà.
È stata riscoperta ritrovando, conservati da un anziano agricoltore di San Pietro di Isola del Gran Sasso (Teramo), 33 esemplari di questo piccolo e prezioso tubero: era l’unica traccia di una patata antica fino a quando, dopo una attenta ricerca, ne sono stati reperiti altri sui Monti della Laga, nei pressi di San Giorgio di Crognaleto (Teramo).
Riconosciuta come Antica Varietà Colturale (Avc), nel suo progetto l’Ente Parco si è inizialmente impegnato al risanamento dei primi e pochi tuberi recuperati, prima in laboratorio per ricostituirne l’integrità sanitaria e limitare il rischio di totale estinzione, poi in campo per definire la tecnica migliore di coltivazione, finché la patata turchesa non è tornata ad essere coltivata in molte zone dell’area protetta, nelle province di L’Aquila, Teramo, Rieti e Pescara.
Nel 2009, sempre con il sostegno del Parco, si è costituita l’Associazione dei produttori della Patata Turchesa, in cui agricoltori, negozianti e ristoratori si sono riuniti diventando i protagonisti della tutela di questa importante risorsa del territorio. I produttori, e gli associati, sono impegnati non solo nella coltivazione, fatta seguendo i principi di un’agricoltura a basso impatto ambientale, ma anche nella riproduzione dei semi, nella diffusione della cultura, della cucina tradizionale e dei saperi popolari. Nel 2011, inoltre, la patata Turchesa è stata inserita nell’elenco dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali (Pat) della Regione Lazio e della Regione Abruzzo e dal 2015 è diventata Presidio Slow Food, riconoscimento per il sostegno di piccole produzioni tradizionali, che mira a salvare dall’estinzione razze di animali, varietà di ortaggi e frutti autoctoni.
Il rinnovato interesse di coltivatori e consumatori, questi ultimi sempre più attratti dal territorio e dalle tradizioni e consapevoli nell’utilizzo di cibi naturali, ha permesso alla patata turchesa di tornare ad occupare un posto di rilievo nelle produzioni locali, seppur con qualche difficoltà legata alla coltivazione, che richiede terreni particolari e una specifica rotazione delle colture, mai inferiore ai due anni.
Chi la coltiva
“Siamo entusiasti di far parte del progetto del Parco per la riscoperta della patata turchesa – racconta a Virtù Quotidiane Filiberto Cioti, titolare dell’omonima azienda di Campli (Teramo) e presidente dell’Associazione ‘La Turchesa’ -. Attualmente siamo nove produttori nell’Associazione, alcuni non riuscivano ad avere una produzione costante, e la turchesa è una patata che ha bisogno di attenzione oltre a particolari condizioni ambientali e climatiche. Negli ultimi due anni, inoltre, con la siccità, tutti i produttori stanno avendo dei problemi: non c’è produzione perché la patata ha bisogno di acqua, di pioggia, deve essere irrigata, altrimenti non cresce. Quest’anno abbiamo seminato tre quintali di turchesa, ma sono davvero pochi per avere una quantità di patate sufficiente anche per la vendita, essendo una varietà poco produttiva”.
Ogni agricoltore tradizionalmente conserva parte delle patate dell’anno precedente per la successiva semina, ma in casi particolari, come quello evidenziato da Cioti, “se sono poche le patate che si hanno a disposizione si fanno diventare da riproduzione. Quest’anno con l’associazione abbiamo infatti deciso che la poca quantità disponibile sarebbe servita per conservare il seme: è molto importante non perderlo, perché una volta perso non si può più recuperare. I primi di ottobre si raccoglieranno le patate piantate e, visto che in montagna ha piovuto un po’ di più rispetto alle zone collinari, speriamo quest’anno di riuscire ad avere più produzione in modo che il prossimo anno avremo una disponibilità di patata turchesa per le tante persone che ci chiamano e la chiedono”.
“La patata turchesa ha una storia importante che attrae sempre più persone, ma non riusciamo a soddisfare la richiesta di chi l’ha assaggiata e ha riscoperto i sapori di un tempo, perché abbiamo poca produzione. Il rapporto produttivo è uno a sette: ogni chilo di patata turchesa piantato ne raccogliamo sette, ma quest’anno, per una precisa scelta, abbiamo solo quella da riproduzione”, spiega Sandro Zonetti che nella sua azienda biologica di Campotosto (L’Aquila) coltiva anche diverse varietà di patate compresa, naturalmente, la turchesa.
Campotosto, con i suoi terreni sabbiosi, ricchi di nutrienti, situati in prossimità dell’omonimo bacino artificiale, tra i più grandi d’Europa, è un luogo ideale per la coltivazione delle patate, una delle risorse più antiche del paese.
“Abbiamo i campi di patate a 1.500 metri, poco più in alto del lago, il quale mantiene l’umidità giusta per la patata e anche i 10-15° di escursione termica, che qui ci sono tra il giorno e la notte, aiutano le coltivazioni. I campi sono leggermente scoscesi, piantiamo le patate verso est e sempre in discesa perché le piante, in ogni fase di crescita, hanno bisogno di una discreta quantità di acqua anche se temono gli eccessi: così riusciamo a evitare il ristagno d’acqua e far sì che non abbiano bisogno di irrigazione, ottenendo un prodotto sempre buono e saporito”, aggiunge Zonetti.
La coltivazione in montagna a quote elevate permette, inoltre, di avere una pianta che ben resiste agli attacchi dei parassiti: a ciclo primaverile-estivo, la patata turchesa viene generalmente piantata da metà aprile e raccolta ad ottobre.
“Noi la seminiamo a maggio, quando la patata è già germogliata naturalmente, e la raccogliamo a ottobre quando le giornate sono più corte e, visto che i tuberi soffrono la luce, in questo modo non ne risentono. Così facendo, inoltre, quando a luglio ci sono gli attacchi delle dorifere, abbiamo già una pianta adulta e con le foglie dure che, grazie alla maggiore maturazione e alla coltivazione sinergica che facciamo, piantando insieme patate e cipolle, viene attaccata di meno”, continua l’agricoltore.
La patata turchesa è una perfetta prima coltura da rinnovo, usata spesso in rotazione con colture di farro o legumi per non favorire lo sviluppo di agenti patogeni terricoli, che possono ridurre o compromettere la produzione.
Le caratteristiche uniche
La combinazione tra le condizioni ambientali e la specificità del genotipo, contribuisce alle caratteristiche uniche della patata turchesa: oltre alla buccia sottile dall’inconfondibile colore viola e alla forma irregolare e bitorzoluta, tipica delle varietà antiche non modificate con innesti di altre varietà, si presenta con una profonda occhiatura, propria delle archeofite. Il suo fiore, con i petali di una leggera sfumatura azzurra, persiste a lungo sulla pianta, a differenza di quelli di altre solanacee. La pasta interna, contrariamente a quello che l’aspetto esteriore fa pensare, è invece di colore bianco.
“Anche se la patata è relativamente recente, l’antico ecotipo si è adattato alla montagna del Gran Sasso, sia nella zona aquilana che in quella teramana” rileva l’agronomo Marco Manilla. “Qui ha sviluppato caratteristiche fenologiche particolari: per esempio, la pianta è abbastanza scura ma soprattutto ha questa particolare buccia tendente al viola, per la presenza di antociani. Le caratteristiche nutrizionali sono molto simili a quelle delle altre patate, ma il viola della buccia le fa avere un elevato apporto nutraceutico e un alto contenuto di antiossidanti e selenio, maggiori rispetto ad altre varietà”.
Le analisi chimico-nutrizionali fatte sulla turchesa hanno anche evidenziato altre qualità quali una bassa concentrazione di grassi e sodio, un basso contenuto di acqua che conferisce alla patata una consistenza e granulosità medie.
La patata turchese in cucina
Queste caratteristiche l’hanno da sempre resa adatta a diversi usi e cotture. A detta dei gastronomi ha un sapore dolce, delicato e piacevole, con sfumature nell’aroma diverse dalle altre patate in commercio che, riconosciute dagli anziani, hanno permesso di riscoprire un sapore del passato che si era perso.
Preparata con vecchie ricette la patata turchesa recupera il sapore di un mondo lontano e la trasforma in un capolavoro del gusto: generalmente è consigliata la cottura al vapore con tutta la buccia, ma la tradizione la vuole cotta lentamente al coppo, sotto la brace di un camino, sempre con la buccia. La sua pasta morbida e farinosa la rende adatte anche a preparare gnocchi e purè, anche se “gli anziani che vivevano in montagna la usavano per fare il pane, in modo che si mantenesse fresco e perché, visto il suo sapore delicato, quasi non si sente nell’impasto”, ricorda Giuseppe Commentucci dell’Agriturismo La Canestra di Aglioni di Capitignano.
“Un piatto antico, tipico del paese di Campotosto, ma che nelle frazioni limitrofe non si usa – aggiunge Zonetti -, è la ‘patata a caciotti’: la patata viene fatta a cubetti, lessata, e poi ripassata in padella con guanciale e pecorino. Le signore anticamente lo preparavano con quello che si aveva a disposizione e qui c’erano le patate e il formaggio, mentre il guanciale veniva usato per l’amatriciana, non sempre veniva ‘sprecato’ per piatti semplici come le patate. A volte si usava solo un pezzo di cotica giusto per dare un po’ di sapore”.
Un piccolo gioiello della biodiversità abruzzese qual è la patata turchesa, però, è sempre a rischio scomparsa nonostante gli sforzi fatti per il suo recupero. L’agricoltura, infatti, rincorre sempre la produttività di una semina con un conseguente calo di produzione di ecotipi locali, sicuramente meno produttivi ma indubbiamente più resistenti e con caratteristiche uniche, nel gusto e nelle proprietà. Perdere un genotipo locale per altre varietà più produttive è un vantaggio economico, ma non necessariamente una vittoria. Ilaria Micari
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