ANTICA CATTEDRALE DI SAN MASSIMO, QUATTRO SASSI CHE POSSONO ANCORA DIRCI CHI SIAMO

L’AQUILA – È sorprendente lo sdegno che proviamo vedendo alla tv pezzi del patrimonio archeologico nazionale cadere in rovina – e gli scavi di Pompei sono l’esempio più banale – quando invece, a due passi da noi, spesso proprio davanti alle nostre case, il nostro patrimonio versa in condizioni ancor peggiori senza che si levi alcun grido di scandalo; se non, ovviamente, da parte dei pochi esperti che tra mille difficoltà li studiano.
E questa sorta di torpore non è causato solo dalla “stanchezza da terremoto”, dagli ultimi e difficili dodici anni insomma, come pure il terremoto non è la causa di tale abbandono, c’è qualcos’altro, un miscuglio tra provincialismo e abitudine, qualcosa che non ci fa comprendere l’importanza della nostra storia e, anzi, la rende ai nostri occhi minore, di poco conto, d’inutile interesse. Come se si trattasse solo del destino di quattro sassi senza alcuna memoria.
La cattedrale di San Massimo, e la vicina chiesa di San Raniero, sono oggi niente più che un’isola ecologica e un parcheggio per il Mep (modulo ecclesiastico provvisorio) di Civita di Bagno (L’Aquila). E mentre se per la chiesa si può coltivare qualche speranza che sia restaurata, come gran parte delle chiese della periferia aquilana del resto, per i ruderi della Cattedrale c’è solo silenzio.
In fin dei conti, se i lavori dell’attuale cattedrale metropolitana dei Santi Massimo e Giorgio, ossia il Duomo dell’Aquila, sono ancora lontani dall’essere avviati, perché dovrebbero essere presi in considerazione i resti del XI secolo di quella da cui prese il nome e le reliquie del Santo Patrono?
La Cattedrale era una maestosa basilica romana della città di Forcona, nota anche come Civitas Sancti Maximi dopo che, insieme alla sede diocesana, vi furono traslati i resti mortali del giovane martire cristiano al decadere del municipio vestino di Aveia. Mantenne il suo prestigio fino al 1257, quando Papa Alessandro IV trasferì la sede vescovile, e i resti di San Massimo, nella nascente città dell’Aquila.
Un legame, dunque, solidissimo, e non già attuale ma eterno, perso però nel tempo, soprattutto recente, come una qualsiasi questione periferica, sconfessando ancora una volta l’idea, ormai solo folkloristica, dell’Aquila “città territorio”.
L’impianto attuale, così come evidenziato dagli scavi effettuati nel 1971, è frutto della riedificazione voluta dal vescovo San Raniero, originario di Forcona, probabilmente tra l’anno 1060 e il 1077 sulla struttura di un edificio sacro ancor più antico. Come riporta il professor Fabio Redi nel saggio “I Longobardi nell’Abruzzo interno”, la Cattedrale è a pianta rettangolare divisa in tre navate culminanti in altrettanti absidi semicircolari coronate da archetti romanici.
Sotto il piano del presbiterio sono evidenti ancora i resti di una vasta cripta a oratorio, un tempo coperta da volte, mentre della facciata non rimangono che la massiccia torre, ulteriormente danneggiata dal sisma, e il semplice portale adornato con due lastre raffiguranti una croce greca e una teoria di pavoni con la caratteristica coda a ventaglio.
Ma dilungarsi ancora in descrizioni, però, è francamente inutile. La cattedrale di San Massimo versa nell’abbandono più totale. Erbacce, arbusti, immondizie e qualche serpe sono le uniche specie animate e non a renderle il minimo omaggio. Di cura, interesse o della parvenza di un progetto di recupero non c’è alcuna traccia.
La Cattedrale e la città di Forcona, come pure Amiternum e gli scavi di San Vittorino, sono da tempo considerati asset storico-culturali strategici dal Comune dell’Aquila, che però, di amministrazione in amministrazione non fa che procrastinare, al meglio, o ignorare completamente le ricchezze del suo comprensorio periferico, continuando invece a fregiarsi del titolo, mai più inappropriato, di “Città della Cultura”.
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