MAXXI L’AQUILA, L’ARTE CHE DA PALAZZO ARDINGHELLI POTREBBE INVADERE LA CITTÀ

L’AQUILA – Una delle peculiarità del Maxxi L’Aquila è certamente quella di ospitare forme d’arte site specific all’interno di un edificio unico (e solo) nel suo genere.
L’idea di ospitare la site specific art, ossia quell’espressione d’arte pensata e realizzata per quel tipo di spazio, ci suggerisce e ci eccita l’idea di una public art che potrebbe irrompere e invadere da Palazzo Ardighelli all’esterno, negli spazi pubblici del centro e magari svilupparsi in un concetto nuovo e inedito di ricucitura con la rete dei borghi e con la periferia diffusa.
Sarebbe un’immagine davvero suggestiva e perturbante quella di un palazzo che “pompa” arte e cultura sul centro storico e sul paesaggio urbano.
Potrebbe succedere? Potremmo chiederlo, magari per un prossimo progetto culturale o per la prossima città della cultura. Possiamo proporre l’idea di lavorarci, di perseguire nuove forme di contaminazione, fusione e defusione fra architettura, scultura, fotografia, etc…
Del resto oggi il Maxxi ospita già al suo interno alcune forme di arte site specific o comunque frutto del rapporto creativo di un genio artistico con un genius loci.
Siamo già su questo solco ed è bello anche solo immaginare questo ipotetico effluvio d’arte che fuoriesce dal palazzo e pervade strade, piazze, luoghi, borghi, contrade contaminandoci e contaminandosi delle inquietudini sociali, dei sospesi urbani, dei conflitti ambientali o più in generale contaminandosi del nostro contesto.
Mi tornano alla mente alcuni riferimenti, accomunati tutti dalla suggestione di un intreccio vicendevole che ci rimanda ad una soggettività reciproca in cui l’individualità diventa un modo di co-responsabilità, in cui lo spazio che attraversiamo, reale o virtuale, è sempre uno spazio politico che ci permette di stare al mondo insieme senza caderci addosso.
Il primo, quello del pedagogista Jerome Bruner che nel 2015 rilasciò un’ultima intervista a La Repubblica dicendoci che l’unico modo che abbiamo per mitigare l’impatto del neo-capitalismo e dell’iper-individualismo è quello di intrecciare il nostro racconto a quello de* altr*, passare dall’E-go al We-go.
Un altro riferimento è quello di alcune iconiche e celebri forme di public art: Ago, filo e nodo di Claes Oldenburg e Coosje van Bruggen a Piazza Cadorna a Milano, le installazioni urbane di Mimmo Paladino, e così pure Un arcobaleno in fondo alla via e le altre azioni d’arte di Franco Summa negli spazi urbani, ma anche il Terzo Paradiso di Michelangelo Pistoletto che giace sul piazzale antistante l’Auditorium del Parco qui all’Aquila.
C’è sempre un legame culturale fra queste forme d’arte e la polis e la sua comunità, un legame politico che racconta di un intreccio fra un genio creativo e un genius loci.
Ci sono poi altri interessanti riferimenti che vale la pena citare perché in corso d’opera. Sono interventi che intendono l’espressione artistica collegata a certe emergenze sociali, politiche e ambientali, la legano a quel determinato luogo di cui narra la storia: a Reggio Calabria Edoardo Tresoldi fa un’istallazione permanente sul lungomare Falcomatà; c’è poi il Ponte di Fabrizio Bellomo per Mandurino, in cui performance, narrazione e fotografia concorrono all’inverarsi dell’istantanea artistica; e infine, fra i tanti altri riferimenti possibili, c’è il gigantesco murales che Jorit ha dedicato a Rosa Parks, nel non luogo di un piazzale della stazione napoletana di Circumflegrea a testimoniare la composta fermezza di una donna che torna a rammentarci che certe urgenze non possono essere scontate.
Sarebbe interessante anche indagare come le forme contemporanee del linguaggio potrebbero tradurre o interpretare le peculiarità di un territorio, come i nuovi giovani fermenti artistici saprebbero intercettare le criticità urbane e sociali attraverso l’uso della public art, della land art o della site specific art. Sarebbe singolare trovare nuove forme per indirizzare quel rimanente 4% della ricostruzione dell’Aquila includendo frazioni, periferie e territorio tutto rappresentando stavolta una qualche pazzia artistica, un Museo d’Arte Diffusa. L’arte diffusa, non il museo. Quirino Crosta
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